In un’Italia che si conferma potenza esportatrice, con oltre 120 mila piccole e medie imprese attive nei mercati internazionali, c’è un altro dato che promette una crescita ancora più robusta: 17.000 aziende sono pronte a varcare i confini, pur non avendolo ancora fatto, o facendolo solo in maniera sporadica. È quanto emerge dal nuovo rapporto di Unioncamere e Istituto Tagliacarne, che disegna la mappa delle imprese potenziali esportatrici, rivelando un’Italia più pronta e competitiva di quanto spesso si immagini.
Un paese in movimento: Nord forte, Sud in crescita
Come prevedibile, il Nord Italia guida questa rincorsa: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna rappresentano da sole il 45% delle imprese pronte ad esportare. Milano svetta con 1.412 potenziali esportatrici, seguita da Roma e Torino. Ma a stupire è anche il Mezzogiorno, dove si concentrano il 21% delle imprese con le carte in regola per l’export, e in particolare la Campania che guida la classifica delle regioni meridionali. Qui, l’export ha superato nel 2024 i 21,6 miliardi di euro, con una crescita poderosa nell’ultimo decennio, trainata da farmaceutica, alimentare, automotive e moda.
Il caso Napoli
A Napoli, le esportazioni sono quasi triplicate in dieci anni. Oggi è la terza provincia in Italia per numero di imprese aspiranti esportatrici, a pari merito con Milano e poco sotto Torino. Parliamo di realtà spesso “invisibili”, piccole aziende manifatturiere, artigiane o commerciali, con meno di 10 dipendenti, che però hanno tutto il potenziale per aggredire i mercati internazionali.Emerge con chiarezza che, accanto ai poli storici dell’export italiano, anche il Sud può giocare un ruolo decisivo. Napoli, ad esempio, si piazza nella Top 10 nazionale per numero di imprese manifatturiere emergenti e terza nel commercio, dietro solo a Milano e Roma.
Manifattura e alimentare: il cuore della spinta
Il manifatturiero resta il cuore dell’export italiano: quasi il 47% delle imprese aspiranti appartiene a questo settore, con picchi nella fabbricazione di metallo, industria alimentare e lavorazione del legno. Ma anche l’innovazione nei servizi e l’evoluzione digitale stanno generando nuove opportunità. A livello nazionale, si stima che l’ingresso effettivo di queste 17 mila imprese nel commercio estero potrebbe aumentare il fatturato export italiano fino al 3%.
Cosa frena le imprese? E cosa serve per farle partire?
Le barriere non sono solo i dazi. Spesso a fermare un’azienda sono gli aspetti tecnici: normativa sugli imballaggi, standard di sicurezza, conoscenza scarsa dei mercati di destinazione. È qui che servono politiche mirate di accompagnamento, formazione, incentivi all’internazionalizzazione, reti di export manager e sinergie territoriali. I distretti del Nord hanno dimostrato quanto conti la rete: portare lo stesso modello al Centro-Sud potrebbe raddoppiare le possibilità di successo.
Stati Uniti: terra promessa (ma rischiosa) per le emergenti
Il rapporto sottolinea anche un rischio: solo 1.600 imprese emergenti esportano verso gli Stati Uniti, e per due su tre è l’unico mercato di sbocco. Una concentrazione pericolosa, soprattutto in un contesto di dazi variabili e politiche protezionistiche. Serve diversificare, cercare nuove aree di scambio, investire nella stabilità delle rotte commerciali.
Crescere oltre i confini per rafforzarsi in Italia
Per le PMI italiane, l’internazionalizzazione non è più un’opzione, ma una leva strategica per restare competitive e resilienti. Espandersi sui mercati esteri significa aprire nuove prospettive di crescita, diversificare i rischi e rafforzare il proprio posizionamento anche sul mercato interno. Per accompagnare le imprese in questo percorso, mettiamo a disposizione una gamma di servizi pensati per affrontare con successo le sfide dell’internazionalizzazione. Vieni a scoprirli
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Antonio Ciccarelli
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